Gerda Taro era una donna dal talento sopra le righe ed il libro di Helena Janeczek, “La ragazza con la Leica”, restituisce alla storia un personaggio di cui si è parlato troppo poco. Coraggiosa, ostinata e lontana da ogni stereotipo femminile, Taro è stata la prima giornalista di guerra a morire sul campo. Nacque a Stoccarda nel 1910 da una famiglia di ebrei polacchi; ma è con il compagno Robert Capa che il suo successo ebbe inizio. In seguito al colpo di stato fascista del luglio 1936 entrambi decisero di seguire sul campo gli sviluppi della guerra civile spagnola, conflitto che inciderà in maniera indelebile sulla vita dei due. Giunti in Spagna, divennero immediatamente importanti testimoni della guerra, realizzando molti reportage pubblicati in periodici come “Regards” o “Vu. Con Gerda siamo nella Spagna che provò a resistere al nazismo e al comunismo stalinista e proprio in quel Paese la giornalista perse la vita a soli 26 anni.
Gerda viaggiava aggrappata al predellino esterno della vettura colma di feriti del generale polacco Walter Swierckinsky, quando alcuni aeroplani tedeschi volavano a bassa quota sul convoglio repubblicano mitragliandolo, seminando il panico e provocando il caos fra i vari veicoli, tra cui quello della reporter. Un carro armato repubblicano amico urtò, nel trambusto generale, l’auto alla quale era aggrappata Gerda, che cadde sotto i cingoli del tank. Durante la sua ultima notte prima della morte l’unica sua preoccupazione fu che le sue macchine fotografiche fossero tratte in salvo per continuare a testimoniare le voci della resistenza ai nazifascisti nel conflitto spagnolo.
Grazie al suo romanzo, Helena Janeczek ci restituisce una narrazione che procede per fotogrammi attraverso cui ricostruisce la vita della reporter. L’amore col fotografo Robert Capa, il suo attivismo studentesco e il periodo di prigionia come antinazista. La Janeczek ci mostra il volto femminile di un mestiere attuale, di una giornalista ossessionata dalla realtà. Ci racconta di una donna con una fiducia particolare nel raccontare, consapevole che le parole non riescano a fermare una guerra, ma possono aiutare a scegliere da che parte stare.