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Così i giornali di carta sfidano le profezie di sventura

di Gloria Frezza30 Marzo 2017
30 Marzo 2017

«La società non ha bisogno dei giornali di carta. Ha bisogno del giornalismo» scriveva così nel 2009 Clay Shirky, saggista e webnauta americano, nel suo articolo Newspapers and Thinking the Unthinkable, che vaticinava un futuro orfano della carta stampata. Una scomparsa più che annunciata, a giudicare dalle molteplici e sfortunate previsioni collezionate dagli esperti in questi anni. Tra i tanti Vittorio Sabadin, ex vicedirettore della Stampa, che nel suo libro L’ultima copia del New York Times, già nel 2007 parlava perentoriamente di “cambiare o morire”.

Nel 2016, Internet ha compiuto 40 anni dalla prima avveniristica intuizione di Licklider e 30 dal suo primo ingresso in Italia. Meno della metà di questo tempo da quando il world wide web è diventato fruibile per tutti, eppure la minaccia per la forma più tradizionale del giornalismo è tangibile.

«I giornali sono un beneficio per la società nella sua interezza. Questo è vero, ma irrilevante per affrontare il problema. “Vi mancheremo quando non ci saremo più” non è mai stato un gran modello di business», scriveva ancora Shirky.

Nel 2012, sul Foglio, si leggevano altre parole poco rassicuranti. La diffusione media era appena scesa in Italia sotto i 4,5 milioni di copie e, seppure con prudenza, si paventava un’apocalisse. Piero Vietti, caporedattore della versione online del quotidiano fondato da Giuliano Ferrara, ne vedeva l’origine nelle forze respingenti dei giornalisti incapaci di accettare il nuovo mezzo, e dei lettori, non più così interessati all’informazione in quanto tale.

Parole che sembrano avere ricevuto in questi anni conferma dai dati. Nel Rapporto 2016 sull’industria dei quotidiani in Italia, promosso dalla Asig e dall’Osservatorio Quotidiani “Carlo Lombardi”, si legge: “Nel caso del settore editoriale, a complicare il quadro c’è lo spostamento dei clienti verso stili di vita dove l’utilizzo di prodotti digitali ha un ruolo preminente.  E purtroppo nessun editore, né in Italia né nel resto del mondo, ha trovato la formula magica per guadagnare con il digitale. (…) Concentrazione e aumento delle dimensioni dell’azienda, sinergie e riduzione dei costi, ricerca dell’efficienza: sono e saranno questi i trend inevitabili nel nostro settore.”

Nel 2007, si legge ancora, il fatturato dell’editoria quotidiana sfiorava i 4 miliardi di euro. Dopo la crisi del 2008, la cifra si è dimezzata, stanziandosi intorno ai 2 miliardi nel 2016. Così la diffusione media delle copie da 5,4 milioni è scesa a 2,9, con la free-press ai minimi.  D’altro canto, le aziende editoriali quotate in Borsa hanno registrato un margine operativo lordo (differenza tra costi e ricavi) pari al 5% del fatturato. «La novità è che nell’ultimo anno i valori produttivi degli impianti stampa italiani sono rimasti invariati, segno che si è giunti al punto di rottura.»

Secondo i dati dell’Audipress, riportati dal sito primaonline.it, il trend negativo in Italia non si arresta. Dal 2015 i 43,5 milioni di lettori di carta stampata sono ora arrivati a 42,7. La maggiore diminuzione ha riguardato i mensili, che da 16,1 sono arrivati a 14,8 milioni di copie vendute. Meno divario per i settimanali che da 16,8 si stanziano a 16 milioni. I quotidiani sono passati da 19 a 18,1 milioni.

Eppure, questo tramonto tarda a concretizzarsi. Sebbene possa sembrare azzardato parlare di ripresa, la carta sta senz’altro incontrando un processo di rivalutazione. Il Wall Street Journal, che pure ha dovuto ridimensionare il suo quotidiano, non vi ha rinunciato. Il direttore Gerard Baker ha deciso di rinnovarlo inaugurando una nuova sezione, “Business and Finance”, per affrontare il 2020. Con il segno più registrato dal mercato editoriale statunitense, si moltiplicano i casi di riviste, mensili o settimanali, che tornano a stampare la versione cartacea prima abbandonata, su richiesta dei propri lettori. In America il Newsweek, settimanale fondato nel 1933, ha ripreso a stampare ad inizio anno dopo la sospensione avvenuta nel 2013, con una risposta economicamente positiva.

Un percorso simile è quello della rivista italiana Pagina99, che dopo la chiusura è tornata in edicola nel 2016 come settimanale. L’idea di un supporto fisico che affianchi il giornale online pare affascinare più di una testata, in Italia e all’estero. Arrigo Berni, amministratore delegato della famosa ditta di taccuini Moleskine, spiega a La Stampa: «Ci sono prodotti come il nostro taccuino, ma anche i dischi in vinile o alcune riviste cartacee, capaci di farci fare esperienze estetiche, emotive e sensoriali che uno schermo non potrà mai offrire».

Varie operazioni imprenditoriali si stanno sviluppando attorno all’editoria giornalistica. Si pensi all’acquisizione del Washington Post, in grave crisi finanziaria, da parte del gigante online Amazon. Oppure, in Italia, all’operazione “Stampubblica”, l’accordo che ha unito gli asset editoriali di Repubblica e La Stampa in un unico soggetto. Entrambi rientrati in lunghi dibattiti circa il conflitto d’interessi e la “purezza” editoriale.

«Se la stampa resiste è perché abbiamo a che fare con una esigenza umana che per quanto mortificata dai nostri tempi di vita, non vuole rinunciare all’approfondimento» dice a LumsaNews Donatella Pacelli, docente di Sociologia della comunicazione all’Università Lumsa di Roma.

Guardando i dati Mediobanca con una prospettiva più ampia, che spazi sugli ultimi cinque anni, c’è una ripresa visibile, sebbene ridotta, nella reddittività operativa del settore editoriale italiano dal 2014. La politica di tagli e contenimenti dei costi ha fruttato un inizio di consolidamento di mercato. Questo ha permesso a gruppi come L’Espresso e Cairo Editore di chiudere in utile il quinquennio.

«La vita economica della carta non sono in grado di immaginarla. – dice ancora la professoressa Pacelli – Posso dire che mi è sembrato sterile il tentativo di inseguimento dell’audiovisivo, che non ha avuto grandi risultati. Una rivalutazione culturale deve rimanere sul solco di una identità, non restando troppo di nicchia. Deve parlare a chi, pur informandosi attraverso l’online, non rinuncia alla capacità del cartaceo di entrare nel cuore dei problemi.»

L’audio dell’intervista alla professoressa Donatella Pacelli

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