Ieri ricorreva il ventitreesimo anniversario dal massacro di piazza Tienanmen, dove studenti, intellettuali, operai organizzarono una serie di dimostrazioni iniziate il 15 aprile e culminate il 4 giugno per reclamare l’attuazione di riforme democratiche nella Repubblica Popolare Cinese. Allora l’esercito represse con carri armati gli attivisti giunti per le strade. Simbolo della rivolta fu uno studente, noto come il “Rivoltoso Sconosciuto”, che da solo e completamente disarmato, cercò di fermare i blindati mettendosi davanti ad essi. La sua immagine è per questo nota in tutto il mondo. Anche se non è mai stato fornito dalle autorità locali un bilancio ufficiale del massacro, Amnesty International stima oltre mille persone uccise, diecimila feriti e migliaia di arrestati. Secondo l’organizzazione umanitaria Dui Hua «meno di una dozzina di attivisti» sono ancora in prigione per aver preso parte attiva nel 1989.
Il ventitreesimo anniversario. Ieri si sono incontrati a Pechino centinaia di attivisti e dissidenti cinesi decisi a manifestare davanti agli uffici governativi che sono stati fermati dalle autorità e messi agli arresti domiciliari o costretti a lasciare la capitale. Il motivo:la Cina ritiene le manifestazioni di ieri come «una rivolta contro-rivoluzionaria», non avendo mai riconosciuto gli errori commessi nel 1989 né considerato possibili risarcimenti per le persone uccise ventitre anni fa. Il governo ha, infatti, impedito una pubblica discussione del massacro di piazza Tienanmen arrestando o costringendo agli arresti domiciliari gli attivisti. Persino sui media è vietato fare un qualsiasi riferimento alle proteste del 1989.
Come ha raccontato dopo l’accaduto Zhou Jinxia, un attivista della provincia nord-orientale di Liaoning «Hanno portato tanti autobus e sabato notte hanno fatto una retata contro i dimostranti alla stazione ferroviaria di Pechino Sud. C’erano tra600 a1000 attivisti provenienti da tuttala Cina. Siamostati sottoposti a processo, hanno preso i nostri dati e poi hanno cominciato a rimandare le persone nelle loro città”.
Secondo il South China Morning Post di Hong Kong, le stesse autorità hanno definito le misure da «tempo di guerra». Tra i dimostranti c’era anche Ding Zilin, un’insegnante in pensione nota per aver fondato il gruppo delle Madri di Tienanmen.
La richiesta degli Usa. Il governo degli Stati Uniti attraverso il portavoce del Dipartimento di Stato american, Mark Toner, ha chiesto che Pechino «liberi tutti i prigionieri detenuti per il loro coinvolgimento e fornisca una lista completa pubblica delle persone che furono uccise, di quelle che furono arrestate e di chi risulta ancora disperso». Toner ha chiesto, inoltre, di «porre fine alle continue persecuzioni dei partecipanti a quelle manifestazioni e alle loro famiglie».E il ministero degli esteri cinese si è manifestato «fortemente infastidito» dall’appello rivolto dagli Usa.
La repressione sulla Rete. Anche su Internet si è cercato di censurare ogni tipo di ricordo del massacro di Piazza Tienanmen. Infatti sul sito Sina weibo, la più diffusa piattaforma di microblog in Cina, molto simile all’internazionale Twitter, è stato rimosso l’emoticon di una candela che bruciava fino a sciogliersi, simbolo della tristezza per le persone morte. Domenica pomeriggio gli utenti di Sina weibo hanno provato ad utilizzare una nuova emoticon, una fiamma simile alla torcia olimpica adoperata per promuovere le Olimpiadi di Londra, ma è stata rimossa anche questa dopo poche ore. Sono stati inseriti, inoltre, come dati sensibili i caratteri cinesi che indicano la candela, che, se scelti come chiave di ricerca per Sina Weibo, causavano il blocco della connessione. Sempre dallo stesso sito sono stati eliminati anche post con foto di orologi che indicavano l’ora esatta del massacro di piazza Tienanmen. Censurati, inoltre, le parole per “non dimenticare” e i numeri 4, 6 e 23, le date che ricordano l’anniversario.
Alessandra Pepe