È come se Pierpaolo Pasolini non se ne fosse mai andato. Non si può certo dire di lui che sia un fantasma. Una decina di giorni fa su un palazzo del lido di Ostia e per strada in via del Mare sono comparsi alcuni suoi busti scolpiti da anonimi scultori. Ancora oggi lo spirito del poeta si aggira per i quartieri capitolini e sollecita risposte alla domanda su cosa dicano oggi i suoi film sulle borgate romane negli anni sessanta come Mamma Roma o Accattone. Non solo le foto del poeta martoriato o nudo. I murales con il suo volto nel quartiere Pigneto fanno schizzare il valore degli alloggi, mentre a Monteverde c’è una strada completamente dedicata al poeta.
Monteverde ieri e oggi. I «grattacieli» erano come «catene di montagne con migliaia di finestre» circondati da «prati abbandonati» pieni di bambini che giocavano «mezzi nudi». L’intellettuale di Casarsa descrive così nel suo romanzo Ragazzi di vita la quotidianità di quei giovani che a metà degli anni cinquanta animavano Monteverde.
«La vita in borgata era difficile nel dopoguerra: la fame ci aggrediva, si tagliava col coltello. Noi ragazzini andavamo a rubare la frutta dagli orti, a scuola si facevano le elementari dopodiché si andava al lavoro». A parlare è il pittore e poeta Silvio Parrello detto “Er Pecetto”, uno di quei giovani da cui lo scrittore di Casarsa prese spunto per il suo romanzo.
A Monteverde Pasolini visse tra il 1954 e il 1963, prima in via Fonteiana e poi in via Giacinto Carini. Fu grazie alla raccomandazione di alcuni capibanda che poté andare a spasso per la borgata a indagare con la sua sensibilità profonda per raccontare le due anime di quei luoghi: quella borghese che risiedeva sul colle e quella sottoproletaria dei palazzoni popolari di via Donna Olimpia e via Federico Ozanam, costruite da Istituto case popolari nei primi anni trenta e poi negli anni cinquanta. Fu poi con i lavori per le Olimpiadi di Roma del 1960 che la borgata si trasformò molto lentamente in un quartiere meno isolato e socialmente più integrato.
Pasolini annotò molto di quelle notti trascorse «al di là del confine», fra ladruncoli e prostitute dai quali catturò il gergo delle borgate per raccontare meglio quel «vizio tremendo» che lui stesso divorò in abbondanza e «che non mi costa nulla»: sono «i dati fisici della vita, il sole, l’erba, la giovinezza» dei ragazzi di vita.
Le anime del Pigneto. Molti ragazzi passeggiano per il Pigneto con l’unico fine di ammirare le opere di street art. Sotto questo profilo le mura del quartiere sono note in tutta Europa. Eppure non tutti sembrano felici di questa situazione, così come traspare da un gruppo di ragazzi seduti sugli scalini di piazza Nuccitelli-Persiani che si accingono a fare un’assemblea di quartiere. Seduto ai tavolini dello storico bar Necci con i suoi amici, Alessandro Carlone, studente romano qui residente, prova a spiegare il perché: «Ci sono molti studenti che vengono qui, il quartiere negli ultimi anni è diventato un po’ più radical chic», mentre tradizionalmente in passato è stato «una zona rossa con molti centri sociali».
Cinquanta anni fa il Pigneto era una borgata fatta di «case piccole come dadi o come pollai» in cui viveva quel sottoproletariato romano con la sua tipica «infida incoscienza» scriveva Pasolini, che qui ambientò nel 1961 gran parte del film Accattone. Era una quotidianità basata sugli espedienti e i furti, vissuta sotto la lente dell’ «occhio della spia che guarda». Da allora è cambiato poco o nulla di quelle architetture, ma «è cambiata la gente che lo frequenta» e ci sono problemi di «immigrazione sregolata e spaccio» precisa Carlone. Riccardo Pelone, abitante storico del quartiere, racconta che «il Pigneto è cambiato negli ultimi anni con la globalizzazione: prima era un quartiere periferico con artigiani, oggi ci son più locali. Negli anni sessanta c’era la malavita locale, oggi lo spaccio degli immigrati che arrivano qui senza lavoro, senza niente, finendo in mano a questa gente». Le interviste raccolte nel quartiere aiutano a capire meglio questa situazione.
Pigneto ha due anime tenute distinte dalla linea ferroviaria: da un lato la zona residenziale e al di là del ponte l’isola pedonale animata dal mercato e dalla movida. Così, quando alle 16 scompaiono gli ultimi banconi, compaiono centinaia di sedie e tavolini per l’ora dell’aperitivo e con loro altre figure: gli spacciatori. Il fenomeno dello spaccio è stato ridimensionato grazie a un presidio fisso delle forze dell’ordine nelle ore serali. Francesco Barnabei, regista, ha persino «creato una chat con Whatsapp tra alcuni residenti e per segnalare tutti i reati» in sinergia con le forze dell’ordine, «ma non si può agire soltanto in maniera repressiva» sottolinea. Infatti per Viola Lo Moro, titolare di Tuba Bazar, nonostante «il gran fermento culturale, mancano spazi verdi e culturali, come ad esempio un cinema».
«Probabilmente quel “popolare” che voleva raccontare Pasolini è cambiato: è più multietnico e si è mischiato, esiste ancora, ma è stato spostato» sempre più in periferia commenta Lo Moro. «Se prima c’era un Pasolini che denunciava, oggi manca un racconto delle periferie fatto di cronaca su temi sociali» evidenzia il regista Enzo de Camillis. «A suo tempo molti critici non gli credettero. Oggi questo si ripete e chi fa politica è scollato totalmente dalla realtà». Il suo spirito si aggira ancora.